Questo 2015…

Ultimi giorni di dicembre, tempo di classifiche. É il momento di raccontarci quale sia stato il disco, il film o il libro migliore dell’anno: anche io, come molti altri, sento l’urgenza di parlarvene un po’.

Di seguito la mia personalissima (e non in ordine di gradimento) classifica dei dischi più interessanti di questo duemilaquindici, con due righe per ciascuna scelta giusto per spiegarvi perchè.

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01 // Steven Wilson – Hand. Cannot. Erase.
Poteva forse mancare l’ultimo disco di Steven? Ovviamente no. Riassunto delle ultime uscite soliste, a cavallo tra prog rock e variazioni più moderne, condito con una storia di isolamento in una grande metropoli, questo terzo lavoro da solista è un ascolto davvero prezioso, emozionale e attuale.

02 // Jakob Bro Trio – Gefion
Chitarrista danese, armato di telecaster e tanti effetti delinea da tempo panorami isolati, freddi e immensi. Questo lavoro in trio lo aspettavo da tanto e me lo aspettavo molto diverso: il risultato è uno splendido disco fatto di silenzi, pause, caos apparente, fraseggi sussurrati e rarefatti. Si respira il ghiaccio, grandi pianure e il desiderio di solitudine.

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03 // Holly Herndon – Platform
Elettronica, materiali sonori grezzi, rumori generati dal computer. Un magma disordinato e allo stesso tempo organizzato, che ci parla di noi e del nostro rapporto con la tecnologia.

04 // Jack Hertz – Unicorn Dreams of Electric People
Jack Hertz, fondatore di Aural Films (che ricrea colonne sonore per film che non esistono) si sporca le mani e rielabora un film già girato. I suoni di Blade Runner (e non le musiche di Vangelis) diventano il materiale originale con cui queste composizioni vengono costruite. L’esito è sconcertante e affascinante: la traccia sonora ricostruisce un mondo a noi familiare, ma nuovo, un’estensione del panorama audio che vive nel film. Riusciamo a superare, mantenedo viva, la dimensione che abbiamo conosciuto vedendo (e ascoltando) Blade Runner. Una vera rivelazione.

05 // Orchestre National de Jazz – Europa Berlin
Orchestrona francese di Jazz contemporaneo. Ci sono echi di divagazioni rock e aneliti a soluzioni sperimentali (vicine a certi minimalismi e a certe insistenze su brevi e intense cellule ritmiche). Viaggio affascinante e a tratti malinconico che vuole ricordarci i luoghi di una Berlino della memoria.

06 // Punch Brothers – The Phosphorescent Blues
Lavoro in studio uscito all’inizio dell’anno, questo nuovo capitolo nella storia Punch Brothers strizza ancora di più l’occhio alla forma canzone, confezionando una serie di brani divertenti, cantabili e intriganti, senza dimenticare un certo impegno e gusto nei testi e nelle strutture. Spettacolare l’iniziale “Familiarity”: in poco meno di undici minuti vengono proposti tutti i punti di forza del gruppo (dal ritmo al gusto per gli intrecci in contrappunto tra violini mandolini e chitarre); il testo realizza una parabola sorprendente che nella testa del mastermind Chris Pile collega la reverenza del canto corale religioso alla partecipazione sentita di persone (forse) sconosciute all’interno di una palestra.

07 // Wanderer – Old Postcard (EP)
Questo duo acustico (Vincenzo De Luce &Matteo Tranchesi alle chitarre) si dedica ad atmosfere sottili e minimali. Ci conquistano con i loro dialoghi in punta di piedi e la loro copertina appena nostalgica. Lo trovate in free download e non ve ne pentirete.

08 // Nick Fraser With Tony Malaby & Kris Davis – Too Many Continents
Trio jazz bass-less (rispettivamente batteria, sassofoni e piano). Sono sfrenati, ognuno per la sua strada eppure sempre assieme. Lavorano sui timbri, sugli intrecci ritmici, su contrappunti acidi e dissonanti. Non vogliono conquistarci con belle melodie e facili effetti: vogliono stingerci nella morsa della loro forza e della loro follia.

09 // John Carpenter – John Carpenter’s Lost Themes
Va motivato? Carpenter è il mago del suono quando si parla di horror: abile sperimentatore (per sua ammissione ignorante e viscerale), manipola suoni e sintetizzatori per creare un unicum visivo/sonoro nei suoi film. Qua lascia indietro le immagini, si confronta con forme più articolate, ma parimenti evocative. C’è tutto: i synth martellanti in 4, le cafonate heavy metal, i sogni da post apocalisse.Il maestro colpisce ancora.

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10 // Waywords and MeanSigns – Recreating Finnegans Wake
Menzione speciale per quest’opera mastodontica  (a cui ho collaborato come Chelidon Frame). L’intera Finnegans Wake viene ribaltata, rinarrata e accompagnata musicalmente, senza vincoli di genere, di interpretazione e di modalità. L’unica regola: il testo ci sia e sia riconoscibile.
Derek Pyle, quasi un mecenate dei nostri tempi, raggruppa decine di artisti e li mette al lavoro su un monolite che arriverà a superare le 31 ore. Da scaricare (è in free download) e da esplorare.

Vorrei concludere con una seconda e diversa classifica. L’ascolto di musica si nutre, oltre che di nuove uscite, di scoperte e riscoperte: qua sotto, allora, trovate un breve elenco di album che ho avuto il piacere di ascoltare durante questo anno, non necessariamente pubblicati nel 2015.

01 // Wowoka – Trees Against The Sky ]2013]
02 // Made to Break – Cherchez la Femme [2014]
03 // Wes Montogomery – The Incredible Jazz Guitar of (…) [1960]
04 // Eric Dolphy – Out There [1960]
05 // Tiziano Tononi – We Did It, We Did It! [2000]
06 // Antonio Sanchez Three Time Three [2014]
07 // Zion 80 – Adramelech: Book of Angels vol 22 [2014]
08 // Iron Maiden – The Book of Souls [2015]
09 // Brian Eno – Ambient 1: Music for Airports [1978]
10 // Nels Cline & Julian Lage – Room [2014]

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Ricreando Finnegans Wake

Mentre Even Silence Has Gone usciva, Chelidon Frame era ben lungi dal rimanere assopito. Nella corrente sotterranea di progetti, sonorizzazioni e compilation open-call è passata molta acqua: mi sono accorto, però, che alcune delle cose a cui ho lavorato con il mio alter-ego un po’ più sperimentale si sono perse nel marasma del rilascio del disco.

Waywords and Meansigns – Recreating Finnegans Wake (In Its Whole Wholume) è, fose, una di queste. E le tante domande interessate che mi sono state rivolte l’altra sera a MwRadio, a margine della promozione del nuovo album, mi hanno convinto a raccontare questo progetto più nel dettaglio: come ho fatto tempo fa (ad esempio in questo post, in quest’altro e anche in questo terzo) mi piacerebbe condividere parte della storia e del processo creativo che hanno portato alla realizzazione di questo brano.

First things first. Cos’è “Waywords and Meansigns”?

Potremmo descriverlo come un progetto di rilettura e di sonorizzazione dell’ultimo lavoro di James Joyce, “Finnegans Wake”. L’opera è generalmente conosciuta come un proibitivo tomo di nonsense, giochi di parole, scherzi fonetici, rumori e frasi senza capo né coda. La complessità del libro, ovviamente, è molto più profonda di quello che può offrire una descrizione così generale: The Wake è un’opera straordinaria, multiforme, rara e impegnativa, nonché culmine di una ricerca fonetico / linguistica che Joyce ha portato avanti per gran parte della sua vita artistica.

Elemento fondamentale, però, rimane la sua difficoltà. Al punto che in pochi possono dire di averla letta e ancora meno di averla capita. Waywords and Meansigns – Recreating Finnegans Wake (e il suo fautore, Derek Pyle) entra in questo punto a gamba tesa: la rilettura vuole rendere più accessibile un’opera che normalmente non lo è, arricchendo l’esperienza della narrazione orale (vero motore di questo libro, pensato più per essere narrato, che letto) con una sotto trama musicale che, esente da un’unificazione di genere, possa accompagnare il lettore / ascoltatore.

“Finnegans Wake” viene così divisa in capitoli e sezioni e ciascuna di queste viene inoltrata a un gruppo di lavoro, composto sia da una parte di narratori, sia da una parte di musicisti (spesso le figure coincidono).

Waywords and Meansigns: Recreating Finnegans Wake - in its Whole Wholume

Waywords and Meansigns: Recreating Finnegans Wake – in its Whole Wholume

Entusiasta del progetto inoltro la mia candidatura. Ancora più entusiasta della risposta di Derek mi dedico all’analisi del capitolo assegnatomi. La prosa è impegnativa, oscura: il lavoro di recupero di tutte le suggestioni volute da Joyce è pesante e la prima lettura è un viaggio tortuoso e pieno di fatiche.

Un po’ scoraggiato mi faccio due conti in tasca: mancano poco più di due mesi (era febbraio) alla deadline, narratori madrelingua o con un buon accento scarseggiano e poi c’è “Even Silence Has Gone” alle porte. Decido di tirarmi indietro. Invio la mail, scusandomi con Derek per averli tenuti in ballo senza seguito. La risposta è rincuorante: non è un problema, ma volendo c’è una sezione già narrata (da Robert Amos) che aspetta solo di essere musicata. Il mio lavoro sarebbe stato poi intrecciato con la parte orchestrata da un altro artista.

Apro logic, inserisco la traccia e, edizione Wordsworth Classics alla mano, seguo la traccia, “The Ballad of Persse O’Reilly”.

L’accento, la voce, l’espressione di Robert sono sublimi. Ha il carisma perfetto, la cadenza giusta e l’intonazione cantilenante per interpretare la ballata. Un po’ mi sento “piccolo”, in confronto.

Wordsworth Classics

Wordsworth Classics

Parto subito delineando tre sezioni, date dal cambio di impostazione della voce di Robert: una prima parte risulta essere più musicale e più legata alla partitura pensata da Joyce per la ballata; una seconda si fa più libera e delirante; la terza sembra tornare a un certo livello di ordine, mantenendo però sottointeso un senso generale di confusione.

L’idea è quella di creare un drone melodioso e generato dalla chitarra per la prima parte, su cui intrecciare vari sintetizzatori e rumori, in un crescendo che esploda e converga nella seconda sezione. Qua, dopo un’iniziale “tregua”, sarebbero dovuti emergere rumori grezzi e fastidiosi, dati da vari found objects, chitarre preparate e colpi abissali. La terza parte, invece, era dedicata a un paio di droni generati da impulsi casuali, sui quali inserire grumi di sintetizzatori in un crescendo che non esplode mai. Il tutto mantenendo l’idea di fondo di creare un contrappunto alla parte vocale.La parte centrale è quella facile: ci sono chitarre scordate, rumorini, delay incrociati, radio noises e oggetti reperti in casa, adeguatamente trattati per l’occasione.

Anche lo scheletro della prima parte esce di getto: il suono della chitarra viene allargato da grossi riverberi a impulso e delay programmati. Il risultato è un drone cavernoso, distorto e complesso, ma che mantiene vivo un nucleo armonico riconoscibile. Su questo si inseriscono bene un synth con “suono da elicottero” incluso, che in base alla dinamica crea una risposta più o meno accentuata, e una serie di oggetti che vanno in risposta alla narrazioni.

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Il vecchio studio

Lavoro a lungo su questa prima parte. C’è sempre qualcosa che manca, qualcosa che non torna, quel suono lì che è meglio là. Senza aggiungere che mentre ci lavoro sopra accadono un po’ di cambi nel piccolo studio di casa mia, quindi alcuni pezzi vanno ridiscussi, sistemati a nuovo e corretti. Alla fine il risultato inizia a convincermi, ma è solo con la chiusura della terza parte che questa prima sezione trova compimento.

Delineati i suoni del paragrafo conclusivo, viene facile incastrare dei rimandi (e delle anticipazioni) nelle altre parti, andando così a incrementare l’omogeneità del tutto. Con questo ultimo tocco il brano è chiuso. Viene poi missato con l’accompagnamento orchestrale di Alan Ó Raghallaigh, confluendo in quella che è la versione ascoltabile sulla release.

L’opera di Waywords and Meansigns – Recreating Finnegans Wake (In Its Whole Wholume) ha avuto grande eco, al punto da mettere in cantiere una seconda edizione. È stata recepita ottimamente sia dai profani che dagli ambienti che tengono viva la fiamma di Joyce. Un riconoscimento mi sta molto a cuore: è quello del James Joyce Center (centro di ricerca e di valorizzazione dell’opera joyciana) il quale sceglie come brano di presentazione dell’intera opera proprio quello che ho elaborato come Chelidon Frame.

La mastodontica prima versione (31 ore, 11 minuti e 8 secondi) può essere scaricata, ascoltata e condivisa al link: https://archive.org/details/waywordsandmeansigns/v2

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EVEN SILENCE HAS GONE!

Ed eccoci, finalmente: dopo due anni “Even Silence Has Gone” è uscito. Lo trovate qua sotto in streaming & free download / pay as you want!

“Even Silence Has Gone” è un album di dieci tracce, dieci pezzi editi e inediti che a loro modo esplorano tutto quello con cui mi sono cimentato negli ultimi due / tre anni (post rock, stoner, ambient, folk, il Silence Trio…) mantenendo quell’anima acustica e intimista delle esibizioni live.
Alcuni pezzi ve li ricorderete, altri li avrete sentiti dal vivo; qualcuno, quasi sicuramente, è inedito: ciò che li accomuna tutti è la nuova veste che abbiamo riservato a ciascuno di loro durante gli arrangiamenti e le registrazioni.

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“Even Silence Has Gone” is a ten tracks album, ten released and unreleased songs which explore all that I’ve got involved with in the last two /three years (post rock, stoner, ambient, folk, the Silence Trio), keeping that acoustic and intimate soul of the live set.
Some songs are know, some you may have listened them live; others, surely, are unknown: all that keeps them together is the new outfit we reserved to each one of them during arrangement and recording.

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“Even Silence Has Gone”, finalmente!

Quale occasione migliore di spoilerare un po’ di cose sull’uscita di “Even Silence Has Gone” per mettere mano a questo desolato blog? A meno di un mese dall’uscita del disco (che sarà il 28 maggio) e dopo tanta attesa, vi racconto un po’ di cose…

“Even Silence Has Gone” è un album di dieci tracce, dieci pezzi editi e inediti che a loro modo esplorano tutto quello con cui mi sono cimentato negli ultimi due / tre anni (post rock, stoner, ambient, folk, il Silence Trio…) mantenendo quell’anima acustica e intimista delle esibizioni live. Alcuni pezzi ve li ricorderete, altri li avrete sentiti dal vivo; qualcuno, quasi sicuramente, è inedito: ciò che li accomuna tutti e la nuova veste che abbiamo riservato a ciascuno di loro durante gli arrangiamenti e le registrazioni.

Barefoot In The Morning An Ocean Under The Ocean Breathe Three Lines Hoarfrost Untitled #1 Painted Desert Shipwrecks In Your Eyes Old Tjikko Another Place

Copia di Cover

Qua sopra trovate la copertina, oscura e malinconica, come il disco vuole essere. Tutto il lavoro di grafica (dalle foto alle scritte, passando per le mie incredibili rotture) è stato curato da Alessia Selvaggi.

C’è spazio un po’ per tutto. E anche un po’ per tutti: al disco hanno collaborato tantissime persone, sia con i loro strumenti che con i loro consigli, che proverei ad elencare in ordine sparso:

Luca Cirio: produzione, chitarre, bassi, voci, consigli preziosi; Federico Cavaliere: voci, cori, altri consigli preziosi; Ludovica Pirillo: percussioni, ammenicoli vari, supporto incondizionato; Matteo Avellina: drum programming su “Another Place”; Giulia Libertini: violoncello su “Hoarfrost”; Marco Miceli: flauto traverso su “Hoarfrost”; Riccardo Feroce: oboe e tromba su “Untitled #1”;

Senza dimenticare Rino e Il Verno per l’aiuto durante la registrazione di “Another Place”, Erica per il supporto unico nella promozione del disco e Bruno per il prestito della sua chitarra durante quel caldissimo luglio di due anni fa. Un grazie va anche alle due “entità” del Late Sound Studio e della BT Sounds Productions (che ha curato produzione e registrazione).

Teaser del disco? Presente!

Il disco verrà presentato dal vivo Giovedì 28 Maggio allo Speakeasy di Rozzano, in compagnia di una formazione allargata (qua l’EVENTO!). Quella sera la copia fisica sarà compresa nell’ingresso (10 euro assieme alla consumazione), poi sarà possibile ascoltarlo / scaricarlo dalla pagina BandCamp (che per l’occasione è stata messa a nuovo) e comprarlo online!

Bonus Track: 

Il progetto Waywords and Meansigns (il cui obiettivo è una riproposizione in chiave moderna dell’ultimo lavoro di Joyce, “Finnegans Wake”) è arrivato alla prima destinazione. Oggi viene pubblicata la prima rilettura dell’opera e l’esito è MONUMENTALE: 31 ore, 8 minuti e 11 secondi.

Nelle fasi finali del secondo capitolo del primo libro, “The Humphriad I: His Agnomen and Reputation, pp. 30-47” compaio per una decina di minuti con il mio progetto Chelidon Frame ad accompagnare la narrazione di Robert Amos e l’orchestrazione di Alan Ó Raghallaigh. Il titolo del brano in questione è “To Rhyme The Rann”.

Waywords and Meansigns: Recreating Finnegans Wake - in its Whole Wholume

Waywords and Meansigns: Recreating Finnegans Wake – in its Whole Wholume

I più coraggiosi possono sia ascoltarvi l’intera ora del secondo capitolo, sia dedicare le prossime 31 ore all’opera nel suo completo: per prendere la narrazione direttamente dal mio intervento potete selezionare la seconda traccia verso un’ora e due minuti e godervi il tutto fino al finale:
  [EDIT 06/05/2015] Il James Joyce Centre di Dublino (museo/negozio dedito alla memoria di Joyce) non è rimasto indifferente alla pubblicazione dell’opera e ha deciso di parlarne sulle proprie pagine: come estratto ha scelto proprio la traccia musicata da Chelidon Frame, “Ballad of Persse O’Reilly”. L’articolo, in cui il progetto è definito “the Italian musique concrète artist”, lo trovate a questo link: http://jamesjoyce.ie/waywords-meansigns-now-available-online/. Per il download: questo link o quest’altro, se avete torrent!

Alla prossima!

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Insondabili Droni

Ed eccoci qua, dopo uno sproposito di tempo, a scrivere di nuovo tra le pagine di questo blog: l’ultimo periodo lavorativo si è rivelato molto intenso e i momenti da dedicare alla scrittura si sono ulteriormente ridotti (certo, direte voi, meno di zero non è che ci sia molto…).

Musicalmente parlando…

Gli ultimi mesi sono stati particolarmente occupati dalla promozione del primo disco dei Nasby & Crosh e di Bandit, attività che stiamo portando avanti in parallelo perché i due progetti condividono molto sia musicalmente che a livello di formazioni. Abbiamo portato il nostro split album e il nostro live un po’ in giro, passando dalle strade di Opera fino all’apertura del live di Dargen d’Amico al The Teathre a Rozzano. Ci sono state anche delle recensioni molto positive (quelle su Rockambula, in particolare – QUA e QUA – molto dettagliate e approfondite, e una su RockIt.)

“Even Silence has Gone” è praticamente finito. So che molto probabilmente avrete un po’ perso le speranze, ma il lavoro si è rivelato immenso, le sessioni in studio si sono fatte molto più rare e l’avanzamento del disco ha rallentato ulteriormente. Il fatto è che ci manca davvero poco (qualche piatto e qualche voce) e poi il tutto è chiuso, impacchettato e pronto per essere ascoltato. Direi che sia facile prevedere il rilascio durante i primi mesi del nuovo anno!

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Passando alle novità, c’è un nuovo progetto in giro. Chelidon Frame racchiude un po’ tutte le esperienze di musica concreta, ambient e drone che ho affrontato negli ultimi due/tre anni. Contattato da una piccola etichetta online (la Vittek Records) ho avuto l’occasione per raggruppare un po’ di brani sparsi per varie compilation e realizzati per altri progetti. Senza questo invito probabilmente non avrei mai trovato il coraggio per dedicarmici completamente.
Il disco è pronto, missato e masterizzato: “Framework” esce lunedì prossimo, primo dicembre, in free download su BandCamp (e quasi sicuramente, fra un po’, anche in formato fisico).

Passando ad altro…

Non mi dedico spesso alla scrittura (o meglio, non spesso come una volta). Qualche tempo fa, ispirato da un breve viaggio in un paesino solitario, mi ero ritrovato a confezionare un racconto breve, “Insondabile Geometria”. Non era male e anche le prime letture di terzi si erano rivelate favorevoli: non mi sarebbe certo dispiaciuto farlo leggere a un pubblico più ampio. Così mi imbatto nel concorso di Esescifi, volto a selezionare una serie di racconti per un’antologia a tema Lovecraft, in cui il racconto si inseriva perfettamente.
“Perché no?” penso.
Giù di labor limae arrivo a una versione più accettabile e accattivante. La invio.
Quale sorpresa oggi, scorrendo il sito, a leggere il mio nome tra quelli selezionati.

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Per ora so che verrà pubblicato (e stampato!) tra le pagine di questa antologia. Non so ancora come verrà gestito il tutto e se sarà possibile leggerlo online. Intanto mi crogiolo in questo piccolo successo.

Alla prossima!

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here.now.where? Alla biennale di Marrakech!

Alla biennale di Marrakech di quest’anno ci sarò anche io. O meglio: non proprio io in carne e ossa, ma un mio brano all’interno di una rassegna. È qualche tempo che sulla mia pagina facebook condivido post, brevi informazioni e qualche nozione, lasciando ancora gran parte del progetto nell’ombra. E ora, con questo articolo, provo un po’ a raccontarvi di cosa si tratta.

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“here.now.where?” è un progetto di sonorizzazione promosso da Saout Radio, emittente radiofonica indipendente dedita alla promozione e alla diffusione dell’“arte contemporanea udibile” (“audible contemporary art”). L’obbiettivo della rassegna è raccogliere una trentina di brani musicali da trasmettere all’interno di alcuni taxi di Marrakech durante la settimana di apertura della biennale, brani che sono stati selezionati tramite un contest online:

“here, now, where? is a sonic urban ambulation, proposed by artists Younes Baba-Ali and Anna Raimondo, for the sound and radio art platform Saout Radio. Following an international open call, and at Saout Radio’s invitation, a collection of soundscapes from different sensibilities, languages and formats will be diffused inside local taxis during the first week of the 5th Marrakesh Biennial (from 25th of February to 2nd of March 2014). In resonance with both Henri Lefebvre’s “right to the city“ and the Biennial’s proposal “Where are we now?“, Saout Radio poses the question of delocalisation in the present moment through the experience of listening in the urban space.”

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Identificativi per i taxi che partecipano all’iniziativa

L’obbiettivo ultimo del singolo brano, quindi, è quello di ricreare un ambiente sonoro – una soundscape – che ricostruisca un luogo, immaginario o reale, permettendo all’ascoltatore di sperimentare simultaneamente il senso del “qui” (ambiente reale in cui si muove il taxi) e dell’”altrove” (luogo ricreato dai suoni trasmessi).

Fin qua quanto richiesto e quanto pensato dagli organizzatori. Ho cercato di fare mie queste direttive e organizzare il lavoro approfondendo qualche tema sul quale rifletto da un po’ di tempo.

Prima di tutto la musica concreta. All’inizio del 2013 ho realizzato due brani per le compilation dell’IFAR (Instutute For Alien Research –  trovate i post qua e qua), confrontandomi per la prima volta con un modo di fare musica non tradizionale: elevare oggetti e modi non usuali di approcciarsi allo strumento a materiale ritmico e melodico.
Volevo recuperare questo modo di scrivere,  sovrapponendolo ad una modalità più tradizionale (con l’uso di chitarra e tastiere).

Avevo anche ben presente l’ambiente da ricreare: l’Antartide.
Ho iniziato ad avere una vera fissazione per questo continente circa due anni fa, quando per la prima volta mi sono messo a leggere At The Mountain of Madness di Lovecraft. So che a molti non piace e risulta troppo lento, ma personalmente ho un’affezione molto profonda per questo romanzo: è stato quello che mi ha aperto le porte al mondo di HPL e questo direi che è più che sufficiente.
La narrazione si svolge interamente in Antartide e gran parte del libro è imbastito con descrizioni dei ghiacci eterni, della neve immutabile e delle immense lastre che compongono l’ambiente.
Da lì, poi, oltre alla passione per Lovecraft è arrivata anche la suggestione per il continente stesso e da qualche tempo rimuginavo su come darne una rappresentazione musicale, magari cercando di tracciare un percorso ideale di “arrivo” ai lidi della baia di Ross.

Visual del progetto sonoro

Visual del progetto sonoro

La fase compositiva è iniziata con uno schizzo, una rappresentazione visiva del brano mediante una linea che cercava di seguire la dinamica ideale del brano, dove inserire i crescendo, dove ridurre l’impatto sonoro, dove far entrare gli strumenti e dove inserire dei marker per sottolineare un cambio di scena.
In breve tempo è nata anche l’idea di un rumore di pochi secondi che fungesse da filo conduttore in tutto il brano: all’inizio, al cambio tra la prima e la seconda parte e alla fine. Avevo in mente qualcosa di simile ad un campanello, a un trillo metallico. E la soluzione è arrivata suonando le corde oltre il capotasto, comprimendole e mettendoci un po’ di riverbero.

Schizzo da cui è partita l'idea compositiva

Schizzo da cui è partita l’idea compositiva

Queste le idee di base che ruotano attorno ad “Antartica”. 
Se passate da Marrakech ovviamente non dimenticate di chiamare uno dei taxi che trovate qua e di richiedere il brano in questione: tutti quelli che non avranno modo di visitare la manifestazione possono trovare il brano su soundcloud:

A questo link trovate un pdf che riassume i vari brani presenti sui taxi, la loro suddivisione e alcune notizie sulle composizioni e sugli autori: a pagina 102 le info su Antartica.

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Andiamo con ordine!

È passato davvero parecchio tempo dall’ultimo post. Prima dell’elenco di cover pubblicato qualche giorno fa, l’ultimo intervento era quello sull’infinito. Di fine ottobre.
Nel frattempo è successo di tutto e parecchie cose hanno visto la luce in questi due mesi abbondanti.

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Iniziamo dai Nasby&Crosh.
Verso metà novembre abbiamo chiuso le registrazioni e il missaggio del primo EP, “Quiet Before The Storm”, prima parte di un concept in tre parti dal titolo “The Storm”. Sono stato decisamente  soddisfatto dei primi ascolti e trovo che ci siano alcune delle canzoni più belle sulle quali abbia avuto possibilità di incidere la mia chitarra. Presto sarà disponibile per l’ascolto e avremo modo di farvelo sentire live.
Nel frattempo abbiamo fatto un po’ di serate in giro – sia in due che in tre – cercando di saggiare la reazione del pubblico. Una delle formule più apprezzata è stata quella che verrà riproposta al Julep di Bresso Sabato 25 Gennaio, una combo di tre “set” in acustico realizzati da tre band diverse, ma collegate tra di loro.
Per chiudere in bellezza l’anno e per fare un “regalo” musicale in occasione del Natale c’è venuta la malsana idea di fare una versione folk di “Fear of The Dark”, corredata di video e di set fotografico in un ridente box di Rozzano. Ecco cosa ne è uscito:

Una delle novità più piacevoli è indubbiamente la nascita dell’acoustic trio. Era da un po’ di tempo che meditavo sulla possibilità di arricchire i brani delle serate da solista con qualche strumento – percussivo o armonico – e che passavo al vaglio varie soluzioni. L’idea è rimasta un po’ nascosta per un certo periodo, ma, con l’inizio delle registrazioni di “Even Silence Has Gone”, la necessità di arrangiare alcuni brani in una direzione diversa da quella indicata dalla sola chitarra ha offerto l’occasione per  sperimentare una formazione un po’ più particolare: basso (e voce) e percussioni – rispettivamente suonati da Luca Bittì (già fonico e produttore di ESHG) e Ludovica Pirillo.

La sonorità che cercavamo di produrre è cresciuta man mano che l’idea musicale del disco andava concretizzandosi e la scelta di un organico piccolo, ma funzionale, ha creato qualcosa di molto stimolante, che mi ha permesso di esplorare certe possibilità che non avevo ancora avuto in modo di indagare: l’intreccio timpani chitarra, i botta e risposta tra basso e linea melodica, l’asciugare l’ambientazione sonora per dare risalto a tutti gli strumenti senza perdere di contenuto…

Dopo una promettente serata di debutto al Ligera e un bis sulla stessa linea all’Atomic abbiamo messo a segno una data ben riuscita alla Sacrestia (in apertura ai Limes Davis), dove abbiamo effettivamente preso coscienza di noi tre come gruppo e sperimentato un livello di sicurezza che ci ha permesso di capire come e dove orientarci nei prossimi passi. Nella stessa data dei Nasby&Crosh torneremo live per iniziare a farci sentire come gruppo definito e concreto.

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Le registrazioni di “Even Silence Has Gone” proseguono. Ci sono stati un po’ di rallentamenti per la sovrapposizione con quelle di Nasby&Crosh e con la preparazione dei live. Senza aggiungere l’inizio del periodo festivo che ha rallentato anche i nostri cervelli, troppo saturi di zuccheri e cibi vari. Ma abbiamo lavorato. Abbiamo ridefinito i tempi tecnici e organizzato i prossimi passi, tirando fuori un calendario fitto ma sostenibile. Mancano poche canzoni e il lavoro è chiuso!

Questo è quanto. C’è qualche altra piccola collaborazione qua e là (con Mumi, con un concorso di musica concreta, con Bandit), ma sono situazioni ancora da definire appieno.

Ci vediamo il 25 al Julep di Bresso!

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It’s cover time!

Di recente l’idea di fare cover e di pubblicarle su YouTube si è fatta molto più divertente. La cosa era nata un po’ per scherzo lavorando con i Nasby&Crosh ad una versione acustica di Holy Diver” di Dio. Da lì il passo è stato breve: perché non dedicarsi a fare in versione acustica i brani più improbabili possibili anche in solista?

Ecco qua un elenco delle cover disponibili, elenco che verrà aggiornato costantemente ogni volta che o io o i Nasby&Crosh caricheremo un nuovo video!

The Doors – Riders on The Storm

George Gershwin – Summertime

Kraftwerk – The Robots

Iron Maiden – Run to The Hills

Metallica – Enter Sandman

Deep Purple – Smoke on The Water

Iron Maiden – Fear of The Dark

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Infinito

Settimana scorsa ho avuto modo di sentire ancora un leitmotiv della matematica del popolo, che suonava più o meno così: “i matematici dicono di capire l’infinito, ma in realtà non lo fanno, perché usano una definizione che di per sé è finita”.
Al di là del fatto che non è vero – la definizione di infinito è data in potenza, come la quantità più grossa di qualsiasi quantità immaginabile – non voglio addentrarmi su questioni di natura filosofica. 

Voglio solo raccontarvi qualche cosa sull’infinito (usando un piccolo aneddoto per tirarvi in mezzo).

Ci è facile associare ad ogni lettera dell’alfabeto un numero: con esattamente ventisei simboli possiamo scrivere tutte le parole della nostra lingua e con altrettanti numeri possiamo fare qualcosa di simile. Seguendo questo schema il mio nome diventerebbe 11251919915. D’accordo, non si distingue la sequenza ssi (19.19.1) da saia (19.1.9.1). Allora mettiamo due zeri tra una lettera e l’altra: 10012005001900190090015.

Il mio nome diventa un numero. Il nome di ogni cosa che la nostra lingua descrive diventa un numero e i numeri sono così tanti che, con questo schema, possiamo trovare dei numeri che corrispondono ai nomi di ogni cosa esistente, esistita e che esisterà, in tutte le lingue.

Andiamo più in là.

Immagine banale #1, così non vi annoiate troppo

Immagine banale #1, così non vi annoiate troppo

Prendete un libro. Seguendo lo schema di prima ad ogni parola possiamo associare un numero (dimentichiamoci dei simboli grafici e degli spazi: possiamo inserirli associandoli a sequenze di zeri prestabilite, così a partire dal numero possiamo ricostruire il testo di partenza). Scorrendo i numeri naturali prima o poi vi imbatterete nell’ultimo libro letto, nell’ultimo letto dal vicino, nell’opera completa di Asimov e in tutti i racconti di Lovecraft. Potrete trovare tutta la biblioteca in fondo alla via, tutte le dispense di tutti gli esami che avete dato, tutte le lettere d’amore scritte da quando esiste l’italiano. E, ancora una volta, tutti i libri esistenti, esistiti e che esisteranno, in ogni lingua.

Facciamo un altro passo.

Immagine banale #2

Immagine banale #2

Prendiamo una chitarra e ad ogni tasto di ogni corda associamo un numero che non contenga zeri: dovremmo avere circa 180 numeri diversi. Ci possiamo inventare una scala che ad ogni durata possibile (croma, semicroma, minima…) e a ogni figura possibile (terzina di ottavo, quintina di sedicesimi) associ una sequenza finita di zeri.

Mhh.
Qualcosa non torna.

Se avessi una sequenza di pause mi perderei a contare gli zeri e di certo non riuscirei a tornare indietro alle note effettive.

Proviamo qualcosa di più interessante. Per ogni figura armonico/ritmica/melodica possibile prendiamo un numero che non contenga zeri: di certo avremo una gran quantità di rappresentanti, ma comunque qualcosa di finito (forse un milione, forse trenta…). Ora ad ogni nota di uno spartito per chitarra facciamo corrispondere il numero scelto in precedenza, tenendo conto di posizione, durata e di tutti i fattori mediante i quali abbiamo costruito il nostro alfabeto numerico; infine per distinguere le note potremmo piazzare uno zero tra uno e l’altro.

Certo, scrivere giù “Fra Martino Campanaro” potrebbe voler dire usare un foglio grosso come tutta la terra e una penna con tutto l’inchiostro dell’oceano, ma otterremmo sempre e comunque un numero.
Con questo schema, scorrendo la linea dei numeri ad un certo punto ci imbatteremmo nella sequenza di note che corrispondono all’assolo che Pat Metheny ha suonato nel febbraio dell’82, nella parte di chitarra di “Sultan os Swing” e nell’assolo che domani sera proverò a suonare. Sicuramente, per esteso, anche nella parte di violino della nona di Beethoven e tutti i notturni di Chopin.

Ehy, ma come funziona per gli accordi? Questo va tutto bene se pensi a singole note, ma a più note assieme?

Costruiamo uno schema di tutte le note singole. Poi ci mettiamo due zeri. Poi aggiungiamo un’altra sequenza considerando solo le voci escluse e così via fino ad esaurire la polifonia del brano. Dove non ci sono note, mettiamo pause.

C'è anche spazio per questa simpatica immagine che capirete in due o tre!

C’è anche spazio per questa simpatica immagine che capirete in due o tre!

La cosa più affascinante rimane, però, nelle piccole cose. Seguendo questi schemi imperfetti ad un certo punto potrei trovare, tra “tutti” i numeri, la sequenza che corrisponde al messaggio che invierò tra un’ora, alla lista di quello che ho mangiato l’altro ieri, all’elenco di tutti i miei amici, tutti gli stipendi che mai percepirò in vita mia messi in sequenza e i nomi di tutti i soprammobili rossi di casa di mia nonna.

E anche questo articolo che ho appena finito di scrivere.

Aggiunta: Riconosco che il post richiama Borges. Non ho ancora avuto modo di leggere “Finzioni”, ma ho letto abbastanza su questo libro da sapere di cosa parla. Ogni rimando è puramente inconscio, dato che il tutto è nato da una riflessione sotto la doccia!

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Di zattere raminghe e altre storie

Oggi è una giornata un po’ strana. Ho quattro ore di “presidio”. In pratica viene commercializzato un nuovo prodotto di cui ho curato lo sviluppo e devo essere reperibile nelle prime fasi di vendita per tappare eventuali buchi. Insomma, si lavora di sabato, ma le prospettive sono così buone che probabilmente avrò quattro ore di puro nulla davanti a un PC. Ne approfitto per parlarvi un po’ degli ultimi giorni.

E come non iniziare con Raminga!
Giovedì scorso (12/09) ho avuto la strana opportunità di suonare su una zattera ormeggiata alle sponde del Naviglio Grande: tra tutti i luoghi in cui mi sono esibito questo entra di diritto nella top tre di quelli più particolari.
Raminga, appunto, è il nome di questa piccola imbarcazione: una decina di assi di legno, tenute a galla da qualche barile pieno d’aria e circondate da una piccola balaustra, che, per la prima volta da molto tempo, hanno osato solcare le acque urbane del Naviglio milanese, attraccando qua e là per offrire la propria storia e le proprie idee.

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Io e l’amico Bittì abbiamo avuto modo di portare un po’ della nostra musica alle orecchie di passanti incuriositi, turisti affascinati e spettatori attenti.
Non preoccupatevi! La zattera era saldamente ormeggiata e noi cercavamo di muoverci il meno possibile per evitare oscillazioni troppo moleste: all’inizio non nego che ho avuto qualche attimo di difficoltà a muovermi su un palco così instabile!
È stato divertente e mi ha permesso di vedere Milano da una prospettiva diversa: guardando non più dalle sponde verso l’acqua, con il naso all’ingiù, ma dalla corrente verso la strada, con lo sguardo verso l’alto. Essere la chitarra di accompagnamento ha i propri vantaggi: puoi guardarti attorno, seguire con gli occhi la corrente, scrutare una a una le facce che sono lì presenti. Da lì “sotto” la città era completamente diversa: bella, serena, rilassante e viva, come mai mi era capitato di vederla. Trovate un po’ di foto sulla pagina della BT Sound e se volete vedervi un video cliccate qua!

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Una notizia che ancora non è trapelata su questo mio blog è la preparazione del mio prossimo disco: non a caso, visto che vorrò dedicarci un post di presentazione una volta che le cose si faranno più concrete. Si chiamerà “Even Silence has Gone”, lo stiamo registrando al Late Sound Studio, curato e prodotto da me e dalla Bt Sound Productions e sarà un disco acustico che porterà avanti il discorso iniziato su “Breathe”. Di queste prime notizie potete trovare traccia sul web: ne hanno parlato HamelinProg, Rockambula, VoceSpettacolo e su UndergroundZine. Seguite l’hashtag #evensilencehasgone per tenere d’occhio tutte le novità.

Un altro progetto che sta andando verso il concreto sono i Nasby & Crosh. C’è in lavorazione un concept, “The Storm”, suddiviso in tre EP che progressivamente verranno rilasciati: rimando alla loro pagina per delucidazioni sulle tematiche affrontate. Parteciperò sia come chitarrista che come compositore, fornendo due miei brani per il terzo atto di questo lavoro. Il genere è pop folk, impreziosito da una buona dose di complessità negli arrangiamenti e nei cori. Potete trovare un assaggio in “Time Travelling”, già uscita sulla compilation “Late Sound Music”:

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